La prima tappa della conoscenza degli ultimi è stata una sorpresa. Tutti noi pensavamo di dover partire con il parlare dei ‘classici ultimi’: abitanti di zone protagoniste di numerosi conflitti interni relegati in regimi di ingiustizie e povertà. Dopo l’incontro con Don Giancarlo invece, abbiamo capito che l’ago della bilancia andava sistemato; bisogna puntare in alto si, ma dopo aver sistemato ciò che sta alla base. Siamo così arrivati a capire chi sono davvero i ‘primi ultimi’ con cui abbiamo a che fare, piccoli ed effimeri a confronto degli altri, ma che si trovano comunque in una situazione di latente difficoltà: noi stessi. Noi a trecentosessanta gradi, con tutti i nostri bisogni, dai più basilari come quelli fisiologici a quelli più profondi come quelli di auto realizzazione senza dimenticare quelli di affetto, che in quest’età come non mai, sembrano essere i più difficili da soddisfare, forse per il bisogno costante si appoggiarsi a qualcuno per la paura di crollare, divorati dall’incertezza che ci caratterizza.
Questo incontro ci ha messi di fronte alla cruda e vivace realtà di ciò che siamo sempre stati abituati a considerare, quella per la quale noi non saremo mai gli ultimi, quel ruolo spetta sempre e comunque al bambino africano malnutrito. Una decisa spallata alla visione che ci vuole sempre omologati e in pole position per la gara della vita. Capire che anche noi facciamo parte degli ultimi, ci permette di essere a pieno titolo consapevoli di noi stessi con i nostri limiti e potenzialità, ma soprattutto ci plasma come esploratori attenti di quella